Gli aspetti che più influiscono su tempi e valori di recupero dei crediti deteriorati: l’opinione delle banche

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Nel recente report pubblicato da Banca di Italia[1] sulla gestione dei crediti deteriorati presso le maggiori banche italiane si sono andati ad analizzare anche i principali aspetti critici riscontrati nelle procedure di recupero. Parte dell’indagine, condotta nel 2015 presso i 25 maggiori gruppi bancari, ha interessato la somministrazione di un questionario qualitativo finalizzato a conoscere il punto di vista delle banche riguardo ai fattori che incidono negativamente sul funzionamento degli istituti giuridici impegnati e su possibili interventi di riforma del sistema. I risultati ottenuti delineano una percezione del processo ancora lontano dal raggiungimento di una buona efficienza. La recente riforma di agosto 2015 in tema di legge esecutiva e fallimentare potrà forse incidere su alcuni dei punti evidenziati, ma il suo effetto è destinato a concretizzarsi nel medio periodo e necessiterà di ulteriori aggiustamenti.

 

In merito alle procedure giudiziali di liquidazione, il fattore che è stato ritenuto più influente nel protrarsi dei tempi di recupero è il sovraccarico di lavoro degli uffici giudiziari, sia per i fallimenti sia per le esecuzioni immobiliari, mentre per quanto riguarda i concordati con finalità liquidatoria, tale problematica segue per importanza la complessità delle procedure. La rilevanza attribuita al sovraccarico degli uffici giudiziari, oltre a derivare da strutturali e palesi problemi di efficienza del sistema giuridico italiano, può trovare ulteriore causa nella marcata crescita del numero di procedimenti liquidatori nel protratto periodo di crisi (dal 2009 al 2013 abbiamo assistito ad una crescita annua di circa due terzi del numero di fallimenti, del 20% per le procedure esecutive e del 300% per i concordati preventivi). Al secondo e terzo posto come fattori critici per i fallimenti sono stati segnalati l’inadeguatezza delle competenze dei professionisti coinvolti – in particolare i curatori – e la complessità delle procedure. Per le esecuzioni immobiliari invece la presenza di prassi applicative favorevoli ai debitori, seguito ancora una volta dalla complessità delle procedure. Giova soffermarsi per un attimo sul secondo fattore ritenuto di maggior incidenza dalle banche in tema di esecuzioni immobiliari, ovvero l’impostazione debtor friendly nelle prassi applicative. Gli attualissimi dibattiti in merito al bail-in bancario, ma soprattutto all’inserimento di un patto marciano[2] nei contratti di mutuo che permetta un più veloce recupero del credito senza avvio di procedura esecutiva in caso di debitore insolvente, hanno messo in luce l’alta sensibilità che l’opinione pubblica nutre per questi temi, con una percezione di diritti e tutele sempre più ridotte all’osso. Queste due letture agli antipodi evidenziano probabilmente una difficoltà di comunicazione e comprensione sia da parte della classe politica sia del settore bancario verso l’opinione pubblica, e viceversa. Pare oggettivo però che le tempistiche eccessivamente lunghe necessarie alla chiusura delle procedure giudiziali di liquidazione in Italia, oltre che a problemi di efficienza, dipendono dal risultato di prassi e processi previsti dal diritto e/o utilizzati dai tribunali italiani.

 

Per quanto riguarda le fasi che incidono in misura maggiore sulla durata complessiva delle procedure, quella finale (il riparto) viene indicata in tutti i casi come la più influente. Nello specifico delle procedure esecutive però, acquistano un peso notevole anche la fase di apertura (dall’ottenimento del titolo esecutivo alla celebrazione della prima asta) e la frequenza con cui vengono bandite le aste. Quest’ultimo elemento mette in evidenza una problematica che in molti Tribunali italiani assume un’importante rilevanza, ovvero la marcata discrezionalità degli attori coinvolti attivamente nel processo esecutivo, che si ripercuote anche e soprattutto sul lasso temporale intercorrente tra un esperimento di vendita andato deserto e la celebrazione del successivo ad un prezzo di base d’asta ribassato.

 

Altro argomento affrontato dal questionario riguarda nello specifico i risultati del sistema di vendita coattivo delle garanzie immobiliari. Basandosi sulle procedure chiuse nel 2014, è stato chiesto agli istituti di credito di indicare il valore medio di realizzo delle garanzie reali rispetto al valore all’inizio della pratica (quindi, al valore espresso nella Consulenza Tecnica di Ufficio prodotta dal perito incaricato) e il numero medio di aste necessarie a giungere all’aggiudicazione del bene. Il valore medio di realizzo si attesta a circa il 55%, con lievi differenze tra le procedure esecutive e quelle fallimentari (54% delle prime contro il 56% delle seconde). Il numero medio di aste per procedura è invece di 4 esperimenti (anche in questo caso, con una lieve differenza tra le 3,9 delle esecuzioni immobiliari e le 4,1 delle procedure fallimentari), mentre la percentuale di aste deserte sul totale si attesta al 72%. L’elevato numero di esperimenti necessari per giungere all’aggiudicazione si riflette inesorabilmente sui lunghi tempi necessari al recupero e in parte anche sul forte sconto a cui i beni vengono liquidati rispetto alle stime di inizio procedura. Tale problematica ha radici in questioni ben più profonde e complesse della difficoltà di vendita dei beni in un contesto recessivo e delle inefficienze presenti in una parte delle norme che regolano le vendite giudiziali[3]. La difficoltà di accesso in ancora troppi casi alle informazioni riguardanti le aste immobiliari, la forte disomogeneità tra le prassi adottate dai singoli Tribunali su base nazionale, ma soprattutto la mancanza di una “cultura” dell’acquisto in asta e la quasi totale assenza di strumenti innovativi e accessibili di promozione delle aste, rendono questo particolare mercato a portata di “pochi eletti” e conseguentemente i valori di realizzo non di rado arrivano ad essere scontati di oltre il 40% rispetto all’effettivo valore di mercato del bene al momento della vendita.

[1] Banca d’Italia (2016), La gestione dei crediti deteriorati: un’indagine presso le maggiori banche italiane, Questioni di Economia e Finanza – Occasional papers

[2] Con una pronuncia del maggio del 2013, la Corte di cassazione ha statuito che il divieto del patto commissorio non attinge il patto marciano, giacché, in quest’ultimo, il trasferimento della proprietà della cosa data in garanzia a favore del creditore non si verifica se non a prezzo equo, sulla base di una stima imparziale posteriore all’inadempimento, con eventuale versamento di conguaglio.

[3] La riforma del diritto fallimentare entrata in vigore ad agosto 2015 (d.l. 83/2015 “Decreto Giustizia per la crescita” convertito con modificazione della legge 6 agosto 2015, n. 132) è intervenuta con alcune importanti modificazioni tra cui in primis la possibilità di offrire un prezzo del 25% inferiore rispetto alla base d’asta fissata (“offerta minima”). Tali variazioni, seppur positive e destinate a produrre effetti nel medio periodo, probabilmente non risolveranno l’inefficienza del mercato giudiziale di vendita coattiva che rimane bisognoso di ulteriori interventi.

di Stefano Angelino

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